Cosa si intende per greenwashing?
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La sostenibilità è divenuta un tema centrale per contraddistinguere l’operato di molte aziende. In un mondo sempre più consapevole degli effetti dell’industria, operare in maniera etica, trasparente e con l’obiettivo di non compromettere per sempre le risorse sul nostro pianeta è una sorta di imperativo, ma anche ciò che i clienti si aspettano. La responsabilità sociale d’impresa è una materia che a partire dagli anni dagli anni ’90, ma in percentuale maggiore nell’ultimo decennio, ha indirizzato l’economia e le scelte di ogni azienda sul mercato. Ognuna di esse rappresenta, attraverso azioni e produzione, i valori che più la identificano raccontandoli ai propri clienti. Una pratica lodevole ma che spesso cela tutt’altra realtà. È il caso del greenwashing, una sorta di pubblicità ingannevole atta ad attrarre consumatori sensibili alle questioni ambientali.
Consumatori consapevoli
Prodotto sostenibile, packaging green, confezioni riciclabili e biodegradabili. Oramai la maggior parte delle scelte di acquisto ricadono su merci che riportano tali diciture. Ogni giorno sentiamo parlare di fenomeni, causati dall’operato dell’uomo, che stanno portando il mondo al declino. Lo stesso cambiamento climatico è conseguenza dell’industrializzazione e di comportamenti che non hanno mai considerato cosa ne sarebbe stato del nostro pianeta. Oggi la situazione è differente. C’è molta più informazione sul tema, un numero crescente di persone è conoscenza dei danni che anche la produzione di una singola maglietta può causare, le associazioni e gli enti che vigilano sui comportamenti dell’industria sono aumentati.
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Secondo il sondaggio di PwC “Global Consumer Insights Pulse Survey” dello scorso anno, a fronte di una contrazione della spesa individuale, conseguenza della recessione economica, oltre il 78% dei consumatori è comunque disposto a pagare di più per acquistare prodotti realizzati localmente o prodotti con materiale riciclato, il 78% per prodotti sostenibili o eco-compatibili, mentre il 75% per prodotti originari da aziende note per le proprie pratiche etiche.
Questo le aziende lo sanno bene, ed è per tale motivo che l’attenzione sulle produzioni, i prodotti da presentare sul mercato e le azioni positive che possono essere intraprese per salvaguardare il pianeta sono diventati obiettivi da mettere al primo posto.
Ecco che entra in gioco la responsabilità sociale d’impresa. Nella teoria, le imprese responsabili socialmente cercano di bilanciare il perseguimento del profitto con il rispetto per le persone e l’ambiente, cercando di creare valore non solo per gli azionisti, ma anche per la società nel suo insieme.Le pratiche di responsabilità sociale d’impresa possono includere adozione di politiche di lavoro equo e sicuro per i dipendenti, riduzione dell’impatto ambientale delle operazioni aziendali, contributi alla comunità attraverso programmi di volontariato, donazioni e partnership con organizzazioni non profit.
Cos’è il greenwashing
Il termine “greenwashing” è stato coniato nel 1986 dall’ambientalista e ricercatore americano Jay Westerveld. Oggi, con questo anglicismo si intende una tecnica di marketing mirata a creare un’illusione di responsabilità ecologica. Sostanzialmente una pratica considerata fuorviante, a volte non intenzionale, dovuta al fatto che l’azienda accusata di greenwashing si posiziona impropriamente come più ecologica di quanto sia in realtà. L’altra faccia della medaglia del greenwashing è il marketing verde, ossia quando le aziende vendono senza trucco e senza inganno prodotti o servizi ecologici e socialmente consapevoli. Il settore energetico è una parte del mercato pesantemente influenzata dal greenwashing. Mentre molti fornitori di energia dichiarano di essere green, continuano ad investire in fonti di energia non verdi. Su una scala più piccola, esempi di greenwashing includono l’utilizzo di simboli di riciclaggio sull’imballaggio senza specificare quali parti possano essere riciclate o riportando su queste affermazioni false e non verificate. In altri casi, invece, si tende a focalizzare l’attenzione su un dettaglio che può essere sostenibile per distogliere l’attenzione da altro. Una tecnica che spesso viene applicata approfittando degli imballaggi. È il caso di prodotti nocivi per l’ambiente ma in confezioni riciclabili, condizione quest’ultima scritta rigorosamente a chiare lettere e in posizioni ben visibili.
Alcuni esempi di greenwashing
Dieselgate
L’editoriale
Per molti uno dei casi più eclatanti di greenwashing ed uno dei più grandi scandali dell’industria automobilistica degli ultimi anni. Nel 2015 l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti (EPA) accusa il gruppo Volkswagen di aver manipolato i test sulle emissioni dei loro veicoli diesel. Le ipotesi diventano subito realtà. Volkswagen aveva utilizzato un software illegale installato nei veicoli diesel per alterare i risultati dei test di emissioni, facendo sembrare che le auto fossero meno inquinanti di quanto non fossero effettivamente. Si scopre così che il “green diesel”, tanto decantato da Volkswagen, era solo una scusa per sedurre i consumatori ad acquistare i loro veicoli.
In seguito all’accaduto ed il riconoscendo ufficiale della frode, la casa automobilistica subì un crollo significativo della fiducia dei consumatori, un forte calo delle vendite e dovette affrontare una serie di cause legali e sanzioni pagando miliardi di dollari in multe e risarcimenti.Se dovessimo trovare il lato positivo della vicenda, il dieselgate ha posto una maggiore attenzione sull’importanza della trasparenza e dell’etica nel settore automobilistico, spingendo i regolatori a rafforzare le normative e i controlli per prevenire futuri scandali simili.
Fast fashion
H&M, il colosso della moda usa e getta, nel 2022 finì sotto i riflettori per l’utilizzo di dati fuorvianti nelle loro pratiche di marketing. Già nel 2019 la casa di moda era entrata nel mirino dell’Autorità per i Consumatori norvegese per via della collezione “H&M conscious”, considerata una forma di pubblicità ingannevole. Nel 2022 le accuse rivolte a H&M si concentrano invece sul sospetto che molte delle valutazioni ambientali dei loro prodotti furono esagerate o addirittura false. In aggiunta, l’azienda venne accusata di ingannare i consumatori riguardo alla reale sostenibilità dei loro capi e degli sforzi per promuovere l’economia circolare. Anche in questo caso, il problema di un singolo marchio sollevò dubbi e perplessità sull’intero settore, evidenziando la necessità di definizioni chiare e criteri definiti per valutare la sostenibilità dei prodotti lungo tutta la catena di approvvigionamento.
Finanza verde
Michelin, uno dei giganti europei nel settore degli pneumatici, ha a lungo promosso la sua politica di sostenibilità, enfatizzando l’impegno per una gestione responsabile dell’industria della gomma. Il progetto Royal Lestari Utama (RLU) in Indonesia, avviato nel 2015 in collaborazione con Barito Pacific, è stato presentato come un modello di sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di rimboschire aree deforestate, creare occupazione e proteggere la biodiversità, coinvolgendo anche importanti organizzazioni internazionali come il WWF e l’UNEP.Tuttavia, un’indagine condotta da Voxeurop ha evidenziato alcuni aspetti critici che hanno riguardata quest’operazione. Nonostante la narrazione positiva, sono emersi dubbi sulla reale efficacia del progetto e sulla trasparenza delle pratiche di Michelin. Secondo l’indagine, infatti, i 90.000 ettari di terreno distrutti dal disboscamento illegale in Indonesia e che sarebbero dovuti essere valorizzati attraverso la piantumazione di nuovi alberi, si sono ridotti ad una piantagione di gomma naturale a monocoltura.