“Water Living Lab”, la tecnologia che rimuove i microinquinanti nel Po
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L’economia circolare rappresenta uno dei driver fondamentali per poter portare avanti un sistema a livello di Paese sempre più sostenibile, in grado di ridurre l’impatto ambientale e di gestire al meglio le risorse a disposizione, alla luce di una preoccupazione sempre maggiore per il futuro e sulla salvaguardia dell’ambiente.
Parallelamente, per conservare nel migliore dei modi gli ecosistemi e la biodiversità, nonché favorire la salute pubblica e limitare il rischio che possano insorgere malattie ed epidemie anche gravi, un altro fattore da tenere in massima considerazione è quello relativo all’inquinamento, in particolare del suolo, dell’aria e dell’acqua, soprattutto perché queste variabili sono collegate alla vita delle persone, che respirano, consumano e bevano attingendone in modo diretto o indiretto.
In questo contesto, uno degli elementi che più degli altri risulta essere spesso e volentieri troppo contaminato da agenti e sostanze nocive che possono mettere a repentaglio la salute di tutti è certamente l’acqua che, in molti casi, viene prelevata e depurata dai fiumi, con il reale pericolo di ingerire microparticelle che possono risultare mortali.
Fortunatamente, le aziende e le istituzioni si stanno impegnando da anni nel ricercare soluzioni in grado di migliorare la qualità delle acque italiane, come il recentissimo progetto attivato sul fiume Po, che avrà un impatto determinante nella vita di tutti i giorni di coloro che abitano i territori circostanti.
Vediamo di cosa si tratta.
Cos’è il Water Living Lab e come funziona
Inaugurato nei primi giorni di marzo, il Water Living Lab è un impianto che ha l’obiettivo di eliminare i microinquinanti presenti nelle acque destinate all’uso idropotabile. Nello specifico la prima installazione, che fa parte di un progetto nato dalla collaborazione di CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), Medica e Hera, è avvenuta presso la centrale di potabilizzazione di Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, in Emilia-Romagna, che si occupa di prelevare risorse idriche dal fiume Po per poi renderle, dopo un processo di depurazione e un trattamento completo, nella disponibilità delle persone.
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Water Living Lab, che rientra nel progetto Life Remembrance, con fondi provenienti dall’Unione Europea, è un perfetto esempio di economia circolare che può essere poi applicato su scala industriale, in quanto utilizza i materiali di scarto di altri settori, come quello biomedicale.
L’impianto, l’unico per adesso presente in Italia, sfrutta granuli polimerici contenenti grafene che sono in grado di intrappolare i microinquinanti pericolosi per la salute, filtrando l’acqua all’interno degli appositi serbatoi. In questo modo, si recuperano materiali anche molto costosi (come per l’appunto il grafene) che altrimenti andrebbero sprecati e mai più utilizzati, conferendo alla centrale in oggetto un ulteriore integrazione a livello di depurazione dell’acqua, essendo già presente gli ampiamente impiegati sistemi a carbone attivo.
Grande soddisfazione al momento del taglio del nastro da parte delle istituzioni regionali, con la vice Presidente dell’Emilia Romagna, Irene Priolo, che ha sottolineato l’importanza di iniziative del genere e di consolidare le politiche ambientali, favorendo la ricerca di soluzioni sempre più innovative e impattanti.Anche il direttore di Hera, Alessandro Baroncini, ha mostrato positività del Water Living Lab, grazie ai primi risultati che hanno evidenziato ottime performance e una capacità innovativa di recuperare gli scarti industriali di maggior valore, dichiarando parallelamente un rafforzamento del monitoraggio costante delle condizioni delle acque nazionali.
L’inquinamento del Po e il pericolo Pfoa
L’editoriale
Tra le sostanze nocive più pericolose che contaminano i flussi d’acqua, c’è sicuramente il Pfoa, un composto chimico facente parte della famiglia dei Pfas, le cosiddette perfluoroalchiliche, utilizzate in diverse industrie, come quelle della cosmetica, dell’abbigliamento e degli imballaggi.
L’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito questi composti nella categoria dei sicuramente cancerogeni e quindi rischiosissimi per la salute pubblica e per la sopravvivenza delle specie animali, non solo marine, essendo anche agenti inquinanti eterni, quindi difficilmente smaltibili e che restano a lungo nell’ambiente e negli esseri vivente che ne entrano a contatto.
Prendendo in esame i principali 14 fiumi del continente europeo, purtroppo, si è evidenziato che il fiume Po risulta essere il maggiormente inquinato da Pfoa, con 200 nanogrammi per litro, pari a due terzi del complessivo di tutti i corsi d’acqua presi in esame. Pur essendo vietato in Italia, però, rimangono in piedi delle deroghe per i composti e non esistono delle regolamentazioni ad hoc.Il grande timore, oltre a quello relativo alla contaminazione del Re dei Fiumi, risiede nel fatto che le acqua del Po vengono impiegate anche per l’irrigazione dei campi e per il sostentamento idrico degli allevamenti, senza contare l’industria ittica locale, aprendo il campo a ulteriori paure da parte dei consumatori che acquistano e si cibano di verdure, carne e pesce potenzialmente nociva per la propria salute, creando problemi al fegato, alla tiroide, infertilità e, come detto, cancro.